Chi visita Venezia non può non restare incantato dalla bellezza di una città che l’uomo ha voluto così caparbiamente da costruirla in un’area improbabile e inospitale fra mare e laguna. Eppure le acque, teatro di scena di un patrimonio inestimabile, sono il cuore pulsante della città e il suo più grande pericolo allo stesso tempo.
Perché la verità è che Venezia sta lentamente affondando, e con lei sono a rischio la sua cultura, il suo patrimonio artistico, i suoi abitanti: fenomeni di acqua alta sempre più frequenti, fondamenta via via più fragili e friabili, tessuto urbano appesantito dalle miriadi di visitatori che ogni giorno affollano la città antica e elementi edili così come mezzi di trasporto che mettono a repentaglio il delicato equilibrio di un territorio originariamente silenzioso e immacolato. E 23 centimetri persi nell’ultimo secolo, rubati alla città dalle acque.
Mentre la temperatura sale e i ghiacciai continuano a sciogliersi inarrestabilmente, il livello del mare si alza centimetro dopo centimetro, minacciando Venezia, New York e in generale tutte le città site lungo le zone costiere: il rischio è, volendo disegnare uno scenario apocalittico ma non così irreale, che diventino città sommerse, musei marini destinati a deteriorarsi in balia delle correnti e della fauna aquatica.
Se è vero che dal violento alluvione del novembre del 1966 (che causò una marea di circa 194 centimetri sommergendo l’intera Venezia in uno scenario a dir poco allarmante) non si sono più verificati episodi parimenti catastrofici, vale la pena sottolineare che i fenomeni di acqua alta negli ultimi cinquant’anni sembrano essersi moltiplicati, e gli odierni veneziani montano passerelle artificiali e indossano stivali di gomma circa 40 volte l’anno per attraversare Piazza San Marco, il punto più basso in assoluto della città.
Mentre maree, venti di scirocco e bassa pressione minacciano nuovi alluvioni simili a quello del ’66, si cercano disperatamente soluzioni per salvare Venezia dall’affondamento.
Chiudere l’ingresso dal mare non è plausibile: isolerebbe la città con la sua laguna e impedirebbe il riciclo naturale e spontaneo delle acque. C’è in ballo l’idea di risollevarla iniettando acqua in un sistema acquifero posto al di sotto della laguna; è in corso la costruzione di 78 dighe mobili installate alle bocche di porto che separano la laguna dall’Adriatico (il cosiddetto progetto MOSE, costato la bellezza di 4 miliardi di euro). Nulla di tutto questo può però salvare Venezia da grandi maree, poiché si tratta di soluzioni più ordinarie che straordinarie: e allora, quale destino per Venezia?
Intanto sembra necessario il disinquinamento della Laguna, ormai porto di navi da crociera e turistiche d’ogni genere; c’è poi da difendere l’isola di San Marco, la più indifesa di tutto il territorio. E non guasta, ovviamente, monitorare costantemente tutti i fattori in grado di minacciare Venezia.
Per il momento si attende speranzosi l’intervento della Comunità Europea: mentre infatti la città affronta l’urgenza di trovare soluzioni efficaci e si offre –forzatamente- come campanello dall’allarme per un problema globale, le decisioni e le proposte per la salvaguardia dell’antica Serenissima sono attese dal mondo intero, come potenziale modello risolutivo di una catastrofe annunciata che tutte le città costiere, prima o poi, saranno costrette a fronteggiare.