L’interesse, mai del tutto esaurito, si è riacceso da poco. Esattamente da quando fu dato l’annuncio del ritrovamento di alcuni batteri nel deserto orientale della California. Particolarità che non è passata inosservata è il fatto che si alimentino di arsenico.
Ciò ha ovviamente riaperto l’antico dibattito sulla presenza o meno di forme di vita sugli altri pianeti dell'universo. Inoltre, la missione Keplero della Nasa suona come una promessa visto che si ripromette di trovare pianeti simili alla Terra nella sua titanica esplorazione di circa 100 mila stelle.
Ma cosa significa esattamente andare alla ricerca di pianeti analoghi a quello terrestre? È detto che ciò implichi anche la possibilità di trovare forme di vita? La risposta non è così ovvia visto che il pianeta Terra deve la sua abitabilità a molti fattori, tra i quali l'orbita e la sua massa. E varie sono le ipotesi sulle possibilità che hanno contribuito alla formazione di tracce di vita. Secondo alcuni, infatti, queste si devono ad una successione di eventi che ne ha determinato la loro complessità; secondo altri, il nostro pianeta sarebbe oggi il risultato di ciò che le stesse forme di vita hanno fatto per renderlo abitabile.
La possibilità che la vita ci sia su altri pianeti non è remota. Il problema è che probabilmente essa dovrà essere ricercata su pianeti come Marte, Europa ed Enceladus. Infatti, sembra che sotto la superficie di questi pianeti giaccia la primordiale possibilità di trovare le condizioni adeguate a renderli abitabili. Sfortunatamente, però, le osservazioni sono molto difficili da concretizzare ed anche molto dibattute.
Trentacinque anni fa, ci pensò il lander della Nasa Viking ad effettuare alcune misurazioni sulle attività anomale rilevate sul pianeta marziano. Oggi, i risultati di allora sono ancora fonte di disaccordi poiché considerati evidenze di un mero metabolismo biologico. Allo stesso modo, nel 1996, il meteorite Ahl 48001 si presentò sulla scena mondiale con il suo carico di microbi. Tuttavia, la sola prova convincente di vita sul pianeta rosso è rappresentata da un microbo prelevato dalla sua superficie durante una missione ed ora in fase di studio in laboratorio.
Oggi, il contributo maggiore potrebbe giungerci dal James Webb Space Telescope. Grazie al suo ausilio sarà possibile analizzare lo spazio che circonda la Terra e le stelle nane rosse orbitanti attorno ad essa. Spiega James Kasting, geoscienziato dell'Università della Pennsylvania, che la vita è definita come un sistema chimico. È in laboratorio, infatti, che la materia può essere sottoposta ad un'attenta osservazione al microscopio.
Furono gli esobiologi degli anni '60 ad ipotizzare per primi che l'atmosfera di un pianeta non dovesse presentare disequilibri chimici nel caso in cui fossero presenti forme di vita. Secondo i dettami di questa scienza, infatti, occorrerebbe trovare un pianeta dove la fotosintesi sia effettuata da organismi presenti in superficie. Senza dimenticare la necessità di ospitare acqua.
Tutte queste considerazioni lasciano comunque ancora il gusto del dubbio ed il sapore della ricerca. Ancora per molto si sentirà parlare di nuove conquiste nell'atavica ricerca di forme di vita extraterrestri su pianeti anche solo lontanamente simili alla Terra. Ma la domanda "siamo soli nell'universo" resterà ancora senza risposte e con mille ipotesi.
Federica Vitale