Gli tsunami, dalle nostre parti, non sono poi così rari. Eventi catastrofici di questo tipo sono più frequenti di quanto si possa immaginare. A scoprirlo è stato un team di scienziati italiani del Cnr coordinato da Alina Polonia dell’Istituto di scienze marine del (Ismar-Cnr), che ha individuato, al largo delle coste siciliane ma non solo, le tracce di un terribile tsunami verificatosi circa 1600 anni fa.
I dati geologici ricavati dai nostri fondali hanno dunque dimostrato la relativa frequenza, nel Mare nostrum, di eventi catastrofici come quello che nel 365 d.C. provocò 45 mila vittime. Le prove sono fornite da un particolare tipo di sedimenti noto come ‘Homogenite o megatorbidite Augias’, trovato negli abissi dello Ionio dalle tecnologie ad alta risoluzione dall’Ismar-Cnr.
Lo studio riguarda però un’area di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore, alla cui base si trovano depositi grossolani, come spiega il Cnr, trascinati a quelle profondità dalla forza catastrofica delle correnti di densità.
Secondo gli scienziati tale deposito è davvero molto vasto e occupa una vasta area del Mediterraneo orientale. “Per comprendere la sua origine erano state fatte varie ipotesi; tra queste, la più accreditata era l’esplosione del vulcano Thera (Santorini), avvenuta nel 1627-1600 a.C., che distrusse la civiltà minoica. Secondo gli studi del nostro team la causa di quest’enorme deposito sedimentario fu invece uno tsunami generato dal terribile terremoto che colpì Creta nel 365 d.C., con una magnitudo valutata tra 8 e 8.5 gradi della scala Richter” ha chiarito Alina Polonia.
Estraendo sedimenti dal fondale marino a quasi 4.000 m di profondità, i ricercatori hanno avuto a disposizione una grande mole di dati geofisici e geologici, che hanno permesso di calcolare in maniera accurata l’età dei depositi e la loro provenienza da diverse zone del Mediterraneo: “L’effetto di un terremoto e dell’onda di tsunami può essere infatti la mobilizzazione di una quantità enorme di sedimenti, che da tutte le zone costiere vanno a depositarsi nella parte più profonda del bacino” spiega l’esperta.
Ma l’evento del 365 d.C. potrebbe non essere stato unico nella storia del Mediterraneo. “Il tempo di ricorrenza dedotto dalle analisi radiometriche è comunque molto alto, dell’ordine di 15.000 anni”, rassicura Alina Polonia.
La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature.