Il Sole sta per raggiungere un picco di attività e gli ultimi dati scientifici a riguardo indicano come probabile un incremento di radiazioni elettromagnetiche, che potrebbero generare sulla Terra tempeste geomagnetiche con impatto sulle grandi reti elettriche ed informatiche.
Allarmanti notizie arrivano anche dallo spazio, dove si registra un significativo aumento di rifiuti che orbitano attorno alla Terra, dovuti alle attività umane. Cosa rischia dunque il nostro pianeta? Questi i principali argomenti del convegno ‘The Impact of Space Weather and Space Exploitation on Modern Society: Hazards’ Forecasting, Prevention, Mitigation and Insurance at International Level’, in corso a Roma, al quale interverranno diversi esperti internazionali. Tra questi Mauro Messerotti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), che ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
NM. In cosa consiste un ‘ciclo solare’? Cosa accade quando il Sole si avvicina alla sua fase di massima attività?
MM. Il ‘ciclo di attività solare’ rappresenta l’aumento da un valore minimo ad un valore massimo e la successiva diminuzione ad un valore minimo del numero di macchie solari, zone meno luminose che compaiono sulla superficie visibile del Sole, la Fotosfera. La durata di un ciclo è compresa tra 10 ed 11 anni ed i cicli si ripetono in modo quasi-periodico da almeno 300 anni, ma evidenze ricavate in altro modo (ad es. studiando le abbondanze di radioisotopi immagazzinate in materiali campione ed alcuni microfossili di riferimento) indicano che, anche se con caratteristiche diverse, il ciclo di attività era presente anche milioni di anni fa. Siccome le macchie solari rappresentano delle zone di altissima concentrazione di campo magnetico, gruppi di macchie solari di polarità magnetica opposta contengono una gran quantità di energia magnetica localizzata in una configurazione instabile, che può venir rilasciata in modo impulsivo dando origine ad esempio ad un brillamento, riscaldando il plasma solare fino a decine di milioni di gradi centigradi, accelerando elettroni e protoni ad energie tali da consentire la loro fuga nello spazio interplanetario, talvolta dando origine ad enormi bolle di plasma (eiezioni di massa dalla corona, Coronal Mass Ejections, Cme; molto più grandi della Terra) che si staccano dal Sole e, se lanciate in direzione del nostro pianeta, interagiscono con il campo magnetico terrestre e lo perturbano provocando una tempesta geomagnetica, producendo intensissimi lampi di luce X, Ultravioletta e radio, che perturbano la ionosfera terrestre e quindi le comunicazioni ad onde radio.
NM. Quali sono gli strumenti a disposizione della scienza per prevedere un picco di attività solare? Quale è il loro grado di affidabilità?
MM. Essendo il Sole un sistema fisico complesso, non esiste attualmente alcun modello fisico globale che consenta di descrivere compiutamente il suo ciclo di attività. Ci si affida pertanto a raffinati metodi matematici e statistici per estrapolare i valori del numero macchie solari atteso per gli anni futuri. Tali metodi hanno un buon grado di affidabilità, ma hanno mostrato i loro limiti quando, come nel caso del ciclo di attività attuale, il Sole si è discostato dal suo comportamento medio: le previsioni calcolate nel 2007 non hanno evidenziato il successivo prolungato periodo di minima attività, caratterizzato da molti giorni con assenza totale di macchie, nè il basso numero di macchie che potrebbe caratterizzare il massimo previsto per il mese di maggio 2013. La marcata asimmetria nel numero di macchie comparse nell’emisfero solare settentrionale rispetto a quello relativo all’emisfero meridionale osservata fino alla data attuale non consente però di escludere che nei prossimi mesi la situazione si inverta originando un’ulteriore ripresa dell’attività. A causa di questo aspetto gli specialisti stanno considerando per il futuro di trattare separatamente l’evoluzione dell’attività nei due emisferi solari.
NM. Quali rischi corre la Terra in vista dell’aumento dell’attività solare? Siamo preparati ad un potenziale blackout elettrico e radio?
MM. Si osserva una serie di impatti sui sistemi biologici (aumentato livello di radiazioni ionizzanti pericolose per l’uomo impegnato in attività extraveicolari nello spazio, ma anche per equipaggi e passeggeri in volo su aerei in rotte polari in alta quota, dove arriva la maggior quantità di particelle energetiche), e sui sistemi tecnologici (particelle energetiche possono causare danni ai satelliti in orbita, vengono perturbate le comunicazioni radio, possono subire malfunzionamenti i sistemi di navigazione basati sui Gps, vengono indotte intense correnti elettriche dalla ionosfera ai lunghi conduttori sulla superficie terrestre, che possono produrre interruzioni nell’erogazione della corrente elettrica fino al danneggiamento permanente di trasformatori ad alta tensione). Tali effetti si manifestano usualmente nei paesi alle latitudini più elevate, ma possono interessare anche le latitudini più basse in caso di eventi di Space Weather di particolare intensità. Diversi paesi europei hanno condotto studi specifici per valutare il rischio connesso con blackout elettrici e radio ed hanno adottato piani specifici per la loro gestione. In Italia un approccio sistematico deve ancora iniziare.
NM. Oltre agli effetti sulle reti elettriche ed informatiche, sono ipotizzabili altre conseguenze sul nostro pianeta dovute all’incremento delle radiazioni elettromagnetiche?
MM. Esiste una connessione tra il flusso di radiazioni elettromagnetiche più energetiche provenienti dal Sole ed il clima sulla Terra. Tale aspetto però è in corso di studio in quanto l’influenza del Sole sul complesso sistema climatico non è stato ancora compresa appieno, anche se è accertato che il Sole contribuisce in modo significativo al riscaldamento dell’atmosfera terrestre.
NM. Luca Parmitano, da noi intervistato qualche tempo fa, alla fine di questo mese volerà nello spazio. In vista del massimo solare, cosa rischiano gli astronauti in orbita? Com’è attrezzata la Stazione Spaziale in tal senso?
MM. Particelle di alta energia provenienti dal Sole attivo, accelerate nel corso di brillamenti solari importanti, possono aumentare il livello di radiazioni ionizzanti che irradiano un astronauta in attività al di fuori del veicolo spaziale. Siccome l’assorbimento di una dose superiore a quella minima ritenuta sicura aumenta considerevolmente il rischio di sviluppo di forme tumorali, e siccome una dose assorbita dall’organismo umano produce danni cumulativi e permanenti al Dna delle cellule, un astronauta che dovesse trovarsi in tale situazione non potrebbe più partecipare ad alcuna missione spaziale, in modo da minimizzare il rischio biologico. Nè la tuta spaziale nè i veicoli spaziali costituiscono una protezione efficace per la schermatura delle particelle più energetiche. Esistono delle zone più schermate di altre, dove gli astronauti si recano in caso di necessità, ma non costituiscono una protezione totale. Sarebbero infatti necessarie per questo delle pareti di piombo oppure formate da uno spessore di acqua, la cui massa non è però compatibile con le caratteristiche di un veicolo spaziale.
NM. I satelliti e tutti i dispositivi lanciati in orbita per scopi scientifici hanno generato dei rifiuti spaziali con ripercussioni sullo stato di salute del nostro cielo. Ci sono possibilità concrete che questi rientrino in atmosfera incrementando l’inquinamento del nostro pianeta mettendo inoltre a rischio la vita dell’uomo in caso di impatto? Non è proprio possibile una loro gestione efficace? Perché ancora oggi, pur conoscendo a fondo il problema, non è stata trovata e attuata una soluzione?
MM. La probabilità di rientro in atmosfera di detriti spaziali è molto bassa; la maggior parte di essi ha dimensioni molto piccole e, considerata la geografia del nostro pianeta, è molto elevata la probabilità che cadano negli oceani oppure in zone disabitate. Inoltre i veicoli spaziali con generazione di energia nucleare sono in numero ridotto ed impiegati per missioni interplanetarie ed eliosferiche, che li portano a grandissime distanze dalla Terra. Quindi le possibilità di inquinamento sono trascurabili e riconducibili a rarissimi malfunzionamenti in fase di lancio, per i quali però esistono rigorose procedure di contenimento dell’eventuale inquinamento. Essendo i detriti spaziali molto piccoli, la loro identificazione ed il tracciamento della traiettoria richiederebbe un sistema di rilevazione operante a livello planetario, molto costoso e difficile (impossibile) da gestire a causa dell’importanza strategica che tali rilevazioni comportano a livello militare. È infine molto complessa e non sperimentata la tecnologia per catturare o deviare questi oggetti.
NM. Tra gli ipotetici rischi per la Terra sono annoverati anche eventuali impatti di asteroidi e meteoriti. Quali pericoli concreti a medio-lungo termine ritiene siano da tenere in considerazione? Quali misure è possibile mettere in atto?
MM. Anche nel caso di asteroidi e meteoriti i due aspetti chiave sono l’identificazione ed il tracciamento della traiettoria, nonchè le procedure di deviazione in tempo utile. Sistemi di sorveglianza del cielo sono già operativi, ma non sono in grado di identificare i corpi più piccoli, che costituiscono comunque un pericolo in caso di impatto. Varie procedure di deviazione sono state studiate, ma nessuna è stata provata in un caso reale.