Le stampanti 3D per protesi ai mutilati di guerra: questa la frontiera sociale di dispositivi, che, paradossalmente, si stanno sperimentando come fonte di armi di tutti i generi. L’iniziativa è chiamata ‘Project Daniel’ ed è portata avanti da Mick Ebeling, cofondatore del centro ricerche ‘Not Impossible Labs’, che ha realizzato un braccio artificiale da 100 dollari che aiuterà le vittime della guerra in Sud Sudan.
Il progetto è nato inizialmente per aiutare un ragazzo di 14 anni, Daniel, che nel sanguinoso conflitto aveva perso entrambe le braccia e considerava la sua vita così non degna nemmeno di essere vissuta. Fu così che Ebeling diede vita al primo vero laboratorio di protesi via stampanti 3D, che, l’11 novembre 2013 ha consegnato al ragazzo, oggi sedicenne, il primo dei suoi arti artificiali, il braccio sinistro, ridandogli almeno un minimo di autonomia dopo 2 anni.
L’iniziativa sta ricevendo il sostegno di altri medici e informatici: attualmente infatti conta sulla partecipazione di una squadra di ricercatori di tutto rispetto, compreso l’inventore sudafricano della Robohand, un neuroscienziato del Mit e il proprietario di una compagnia che realizza stampanti 3D in California. Può vantare inoltre dei finanziamenti di Intel.
Attualmente Ebeling è tornato negli Usa, ma nel campo profughi dove vive anche Daniel la stampante lavora producendo circa una protesi alla settimana. “Siamo fiduciosi che altri bambini e adulti in altre regioni dell’Africa, così come di altri continenti di tutto il mondo, utilizzeranno la potenza di questa nuova tecnologia - ha dichiarato Ebeling - Crediamo che la storia di Daniel infiammerà una campagna globale”.
Il progetto si propone come open source, quindi aperto al contributo di chiunque lo ritenga utile, e gratuito per i fruitori finali, ovvero coloro che necessitano di protesi a causa di mutilazioni.
Lo scopo ultimo, nella visione dei promotori, è “risanare l’umanità”.
RDC
Foto: Not Impossible Lab
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