Dove fanno a finire i nostri smartphone e tablet alla fine della loro vita? Un problema che ancora oggi non è del tutto risolto. I rifiuti elettronici infatti hanno bisogno di procedure di smaltimento complesse. Ma un nuovo studio svolto dall'Università dell'Illinois ha permesso di creare dispositivi che si autodistruggono.
Merito di un segnale a radiofrequenza che accende un elemento che si scalda, nel cuore del dispositivo. Ed è a quel punto che i circuiti si dissolvono completamente.
I ricercatori della Illinois University hanno sviluppato questi particolari dispositivi elettronici in grado di autodistruggersi attraverso un meccanismo innescato dal calore. Un asso avanti per ridurre la quantità di rifiuti elettronici e aumentare la sostenibilità nella produzione.
Come? Con un innesco radiocomandato in grado di attivare a distanza l'autodistruzione su richiesta. Bastano una ventina di secondi per farlo autodistruggere.
Si tratta del frutto di un'ampia collaborazione multidisciplinare che ha messo insieme i ricercatori di tutto il campus dell'Illinois, guidati dal professore di ingegneria aerospaziale Scott R. White.
“Abbiamo dimostrato che l'elettronica c'è quando ne abbiamo bisogno e sparisce quando non ci serve più”, ha detto White. “Questo è un modo per creare la sostenibilità nei materiali che vengono utilizzati dall'elettronica moderna. È stato il nostro primo tentativo di utilizzare uno stimolo ambientale per innescare la distruzione”.
Il gruppo di White ha collaborato con quello di John A. Rogers, da tempo impegnato sul fronte dei dispositivi che si dissolvono in acqua utilizzati negli impianti biomedici. Insieme, i due gruppi di ricerca hanno affrontato il problema di utilizzare altri sistemi per abbattere i dispositivi, tra cui la luce ultravioletta, il calore e le sollecitazioni meccaniche. L'obiettivo è quello di trovare il modo per disintegrare i dispositivi in modo che i produttori possano riciclare i materiali costosi recuperandoli da quelli usati o obsoleti evitandone poi la fine in discarica.
D'altronde, è già stato dimostrato che i rifiuti elettronici valgono più dell'oro.
Francesca Mancuso
Foto: Illinois.edu
LEGGI anche: