Le Dolomiti sono state celebrate come “l’opera architettonica più bella del mondo” dall’architetto francese Le Corbusier e riconosciute come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Per i geologi, però, rappresentano da sempre un puzzle scientifico, soprattutto per quanto riguarda la formazione dei cristalli di dolomite, il minerale principale di cui sono composte. Recentemente, un’importante scoperta ha fatto luce su questo mistero.
L’Università del Michigan, in collaborazione con l’Università di Hokkaido in Giappone, ha recentemente raggiunto un traguardo significativo nella comprensione della formazione dei cristalli di dolomite. Questo risultato, che ha guadagnato la copertina della rivista Science, sfida le teorie esistenti sulla formazione dei cristalli e potrebbe offrire nuove prospettive sulla storia geologica del nostro pianeta.
La dolomite, che costituisce il 30% delle rocce sedimentarie carbonatiche del pianeta, è stata a lungo considerata un enigma. Secondo Andrea Dini, ricercatore del Cnr-Igg, nonostante l’apparente paradosso umano nel comprendere la sua formazione a bassa temperatura, la natura ha sempre saputo come cristallizzare questo minerale. Esempi di formazione naturale di dolomite si osservano in ambienti con variazioni di pH o salinità, come nel Golfo Persico.
Un processo unico
Contrariamente alla formazione tipica dei cristalli minerali, che avviene per precipitazione in soluzioni sovrasature, la dolomite non segue questa regola. Diverse ricerche hanno tentato di riprodurre i cristalli di dolomite in laboratorio a temperature inferiori ai 60 gradi, ma senza successo. Il team di ricerca guidato da Joonsoo Kim ha adottato un nuovo approccio, variando il livello di saturazione della soluzione. Hanno dimostrato che per favorire la crescita dei cristalli di dolomite sono necessarie fluttuazioni ripetute nei livelli di saturazione della soluzione.
Queste fluttuazioni cicliche tra soluzioni sovrasature e sottosature promuovono un processo unico di cristallizzazione e dissoluzione che consente l’ingrandimento dei cristalli. Questa scoperta pone nuove domande sulle fluttuazioni naturali su scale temporali geologiche e sui fattori che influenzano questo processo, potenzialmente utilizzabile come cronometro per misurare il tempo geologico e approfondire la comprensione della storia della Terra.