I potenti della Terra (Capi di Stato, di Governo, rappresentanti di associazioni internazionali e della società civile) sono in questi giorni a Durban (Sudafrica) per discutere quale sarà il futuro del nostro pianeta, soprattutto in riferimento alle questioni energetiche e climatiche: dal 28 Novembre è in corso la 17esima Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite (Cop17), che si concluderà il 9 Dicembre. Temi centrali sono il protocollo di Kyoto e gli accordi raggiunti a Cancun (Messico) nel Dicembre 2010.
Global Warning, effetto serra, emissioni di anidride carbonica: tutte espressioni note, ripetute sui giornali e in televisione. Ma che cosa sta veramente succedendo al nostro pianeta? Cosa porterà tutto questo? Le attività umane hanno sicuramente portato progresso e benessere, ma a che prezzo? Quanto peseranno sul nostro futuro le emissioni indiscriminate di inquinanti di vario tipo riversate, almeno in passato, nell’atmosfera? Se all’epoca della Rivoluzione Industriale un cielo terso era segno di povertà, mentre uno completamente annerito dai fumi industriali indicava ricchezza, oggi non è più così, ma come cambiare le cose?
Queste le domande che hanno suscitato la nascita delle conferenze sul clima: la prima, avvenuta nel 1990, pose le basi del problema da risolvere: innanzitutto la riduzioni delle emissioni di scarico a effetto serra dovute alle attività umane. Se nell’atmosfera si accumulano gas inquinanti, come l’anidride carbonica, i raggi solari non sono in grado di uscire dal pianeta dopo essere stati riflessi sulla superficie, con un meccanismo analogo a quello volontariamente indotto dall’uomo nelle serre: questo provoca, appunto come in serra, un aumento di temperatura al di sotto dell’atmosfera (global warming). È ancora oggetto di studio se la causa di questa evidenza sperimentale sia realmente l’effetto serra, ma è sicuro come nell’atmosfera siano stati immessi agenti inquinanti pericolosi la cui percentuale va assolutamente ridotta.
Così l’11 Dicembre 1997, durante la terza conferenza sul clima, 160 nazioni sottoscrissero il protocollo di Kyoto, un trattato internazionale sui comportamenti da assumere nei confronti dell’ambiente, che obbliga i Paesi industrializzati a ridurre le emissioni dei gas inquinanti e serra. Entrato in vigore il 16 Febbraio 2005 dopo la ratifica della Russia, il trattato prevede, tra le altre cose, che tutti gli Stati ritenuti responsabili dell’aumento significativo della temperatura riducano del 5 per cento le emissioni di anidride carbonica.
Il protocollo scade nel 2012 e –solo per citare un evento significativo- gli Stati Uniti, responsabili da soli del 36,2 per cento delle emissioni, non hanno mai aderito al trattato, al quale pertanto possono banalmente non prestare attenzione, continuando le attività di sempre, con gli stessi criteri. Kyoto va dunque sostituito. E se un vero e proprio Kyoto 2 sembra ancora lontano a Durban, quello che l’Europa si attende è almeno la sottoscrizione di un accordo sul clima anche da parte del gigante americano, sullo stile di quanto avvenuto nel 2010 a Calcun quando tutte le Nazioni, con l’eccezione della sola Bolivia, si impegnarono a ridurre le emissioni dal 25 al 40 per cento entro il 2020.
D’altronde se guardiamo in casa nostra, purtroppo, l’Italia, pur avendo ratificato il trattato, non sta certo brillando per ottemperanza. Nel 2008 infatti il governo ha fatto discreti sconti ai produttori di anidride carbonica, ovvero grosse imprese che non avevano alcuna voglia di adeguarsi alla legge. Per cui, entro il 2012, il Bel Paese dovrà pagare 1 miliardo e 700 milioni di euro di multa (e inutile dire da dove prenderà questi soldi).
Il pianeta potrebbe dunque andare incontro al collasso (la Terra consuma risorse come 1,3 pianeti), ma ancora non sembra di moda usare il catastrofismo per ottenere un cambiamento di mentalità. Ci auguriamo che a Durban qualcuno usi, per una volta, il pugno fermo.
Roberta De Carolis
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