Ci aveva lasciati col fiato sospeso come il collega Uars, ma alla fine il satellite Rosat alle 3.50 di domenica 23 ottobre è finito nel Golfo del Bengala, nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, senza aver inflitto alcun danno all’uomo.
Secondo quanto illustrato ieri dall’Agenzia Spaziale Tedesca (DLR) non sappiamo ancora se qualche frammento abbia toccato la superficie terrestre. In ogni caso, pericolo scampato. Almeno per questa volta.
Johann-Dietrich Wörner, presidente del consiglio d’amministrazione DLR, come tutti, ha tirato un sospiro di sollievo, e ha dichiarato: “Con il rientro di Rosat, una delle missioni spaziali tedesche di maggior successo è stata portata alla sua definitiva conclusione. La dedizione da parte di tutti i soggetti coinvolti all’interno della DLR ma anche da parte dei nostri partner a livello nazionale e internazionale, è stata esemplare, e a tutti loro va il mio sincero ringraziamento“.
Archiviata questa pratica, non ci possiamo certo sentire al sicuro. Di certo, due satelliti in caduta libera nel giro di un mese non diventeranno un problema costante. Rimane però il fatto che in orbita vaga una gran quantità di spazzatura spaziale.
Qualche soluzione è già stata proposta. Degna di nota l’iniziativa russa che ha destinato una cifra consistente per arginare il problema dei detriti. Ma anche il nostro Paese, qualche tempo fa, ha proposto una speciale schiuma che verrà spedita in orbita con un razzo sonda dell’Esa nel marzo del 2012 e che dovrebbe trascinare la spazzatura fuori dall’orbita terrestre.
Ma anche gli americani della Darpa si stanno adoperando per agire sulla causa piuttosto che piangerne le conseguenze in futuro. Il Dipartimento della Difesa infatti ha lanciato un nuovo programma, intitolato Phoenix, per creare nuovi satelliti a partire dai satelliti dismessi e attualmente inattivi in orbita geostazionaria, a circa 22mila miglia sopra la Terra.
I satelliti “defunti” sono, come sappiamo, molto numerosi. Recuperando gli elementi ancora funzionanti, ed in particolare le loro antenne, la Darpa prevede l’invio di altri satelliti che grazie ad opportune braccia robotiche possano agganciarsi alle antenne già in orbita. Duplice il vantaggio. In primo luogo il recupero di parte dei detriti spaziali e in secondo luogo un risparmio nell’utilizzo di risorse per la costruzione di nuovi satelliti.
Una sorta di meccanismo di riciclo spaziale, che potrebbe ripulire il cielo dai troppi rifiuti che l’uomo vi ha riversato negli anni.