Sarà la prima italiana a volare nello spazio. È Samantha Cristoforetti, capitano dell’Aeronautica Militare nonché astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea. La sua missione? Futura, la seconda di lunga durata dell’Agenzia Spaziale Italiana. A fine novembre 2014 partirà a bordo della navicella russa Soyuz 41 insieme ad Anton Shkaplerov e Terry Virts dal cosmodromo di Baikonour (Kazakistan) per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, dove resterà fino a maggio 2015. L’abbiamo raggiunta ieri al telefono a Colonia, all’European Astronaut Centre dell’ESA.
Astronauti si nasce? Quando è nata la tua passione per il cielo? E quando hai cominciato a maturare la convinzione che volare tra le stelle avrebbe fatto parte del tuo futuro?
Astronauti non si nasce, lo si diventa con un percorso anche abbastanza lungo, ognuno ha il suo. Non c’è un percorso standard per diventarlo, è una professione un po’ diversa dall’avvocato e dall’ingegnere, per i quali c’è un corso di laurea apposito e poi automaticamente ci si inserisce su quella strada, però la mia passione è nata effettivamente da piccola, quindi in un certo senso sono nata con l’idea dell’esplorazione spaziale.
Da quando mi ricordo, dicevo che da grande avrei fatto l’astronauta, poi sono diventata più realista e ho cominciato a dire che da grande avrei provato a fare l’astronauta perché avevo iniziato a capire che comunque era difficile e poi crescendo ho sviluppato tutta una serie di interessi più maturi che mi hanno incanalato su questa strada. Fare l’astronauta era il mio sogno, poi con la passione per le scienze, la tecnologia, il volo, anche per cose come le lingue, gli aspetti interculturali… Sono tutte cose che ho sempre amato molto, che ho perseguito nelle mia vita, che mi hanno poi permesso di partecipare alla selezione da astronauta e che adesso fanno parte integrante del mio lavoro e della mia vita. Un aspetto imprescindibile per chi ha delle ambizioni di lavoro non scontate, lo è per gli astronauti perché sulla Stazione Spaziale Internazionale è fondamentale la capacità di comunicare senza barriere linguistiche e culturali.
Sei stata selezionata tra oltre 8.500 astronauti per volare nello spazio e trascorrere sei mesi a bordo della ISS per la Missione Futura. Cosa si richiede ad un astronauta? E a un’astronauta donna?
Da questo punto di vista, l’astronauta è una professione come possono esserlo altre. Se si va da un avvocato, che sia uomo o che sia donna, più o meno ci si aspettano le stesse cose. Se in sala operatoria si deve essere operati a cuore aperto dal chirurgo non ci si aspetta nulla di diverso, a prescindere che sia uomo o donna. Per l’astronauta è la stessa cosa. Ci sono una serie di competenze che l’astronauta deve avere, come lavorare in squadra. Quando siamo a bordo, dobbiamo mettere gli obiettivi della missione e dell’equipaggio davanti agli interessi e ai desideri personali. È un lavoro di squadra, è uno dei tanti ingranaggi fondamentali che permette di far funzionare tutto questo sistema meraviglioso che è la Stazione Spaziale. L’astronauta è nella posizione di far stoppare completamente l’ingranaggio se non lavora bene, quindi è per questo che ci si assicura che sia ben preparato e che si renda conto delle proprie responsabilità nei confronti del resto della squadra, delle persone dei centri di controllo, di chi si è occupato dell’addestramento e degli scienziati che hanno preparato gli esperimenti.
Secondo te, perché finora l’Italia non aveva mai avuto un’astronauta di sesso femminile? Il problema delle “quote rosa” arriva fin su nello spazio? Esistono degli “ostacoli” fisici, secondo te, che dalle origini ad oggi, hanno visto una partecipazione prevalentemente maschile ai viaggi nello spazio?
Stiamo parlando di numeri molto piccoli. Io sono la settima astronauta italiana della storia. Sono numeri talmente piccoli che non si possono cogliere delle regolarità e delle leggi.
Una domanda che tutte le donne vorrebbero farle: come si gestisce il ciclo nello spazio?
Come a Terra, è uguale per chi decide di averlo, ma si può anche sopprimere, proprio come sulla Terra.
L’Italia in campo aerospaziale vanta numerose eccellenze, non solo sotto il profilo tecnologico. Satelliti, veicoli, la stessa Stazione Spaziale Internazionale vedono una forte partecipazione del nostro paese, ormai da decenni, ma anche il numero di astronauti italiani sta salendo sempre di più. Paolo Nespoli e Roberto Vittori, più di recente Luca Parmitano. Secondo te da cosa nasce questo rinnovato “amore” dell’Italia per lo spazio?
C’è sicuramente un’impennata delle possibilità di volo per gli astronauti italiani, non casuale ma dovuta ad un impegno dell’Agenzia Spaziale Italiana come facilitatore dell’impegno dell’industria italiana. Ciò ha permesso a quest’ultima di vincere tutta una serie di contratti e quindi di contribuire in maniera significativa al programma Stazione Spaziale. Non è un segreto che una buona parte del volume abitabile della Stazione Spaziale è stato prodotto in Italia e poi spedito negli Stati Uniti per il lancio. C’è anche un forte impegno della nostra comunità scientifica che è ben rappresentata. Con Futura, l’Asi ha emesso un bando ad hoc per il finanziamento di tutta una serie di esperimenti che dovrei condurre io sulla Stazione. Avrò proprio io il piacere aggiunto come astronauta italiano di poter operare esperimenti ideati dalla nostra comunità scientifica, avendo avuto l’occasione di conoscere personalmente gli scienziati che li hanno sviluppati e di interagire in maniera personale. Per me è un piacere aggiunto. Questo impegno ormai ventennale, con accordi bilaterali tra Asi e Nasa che risalgono agli anni Novanta, che hanno permesso un ritorno in termini industriali, utilizzo scientifico della Stazione e di astronauti italiani che, come membri del corpo degli astronauti dell’Esa, hanno opportunità di volo abbastanza ravvicinate l’una con l’altra. È una cosa assolutamente unica in Europa in questo momento.
Quali sono gli aspetti del volo spaziale che più ti affascinano?
Da una parte ci sono tutti gli aspetti legati all’impiego di tecnologia in un ambiente estremo. La Stazione Spaziale è dal punto di vista tecnologico e ingegneristico una delle cose con un grado maggiore di eccezionalità prodotte nella storia dall’umanità. Nascendo come ingegnere, poter far parte di questo progetto è una cosa estremamente affascinante. E poi c’è il fatto di essere in un posto dove è possibile spostare i limiti della conoscenza perché è un laboratorio dove si fa ricerca negli ambiti più disparati. I laboratori in cui si fa ricerca a terra sono più specifici. Si fa ricerca in un certo campo, in maniera più sistematica. Ma a me è una cosa che affascina molto: trovarmi in un laboratorio in cui si fanno esperimenti nei campi più disparati, dalla meccanica dei fluidi alla combustione, dal comportamento delle formiche all’adattamento neurologico degli astronauti all’assenza di gravità. Poi io sono onnivora. Mi interesso di tutto, mi affascina tutto quello che è aumento di conoscenza per l’umanità. Da questo punto di vista è come se fossi al Luna Park. È tutto estremamente affascinante. Poi anche dal punto di vista di pilota militare, sono affascinanti le operazioni, come si gestisce un lancio, l’avvicinamento alla Stazione, i rifornimenti, le attività a bordo, il braccio robotico o la fotografia di una passeggiata spaziale. Vengono gli occhi grandi per la meraviglia guardando questo meccanismo così complesso.
Un’altra cosa molto bella è il fatto che ci sia questo aspetto multiculturale, io sarò insieme ad un russo, un americano, ma anche nell’equipaggio di back up ci sarà un giapponese e nell’altro un tedesco. Ci spostiamo in continuazione da un posto all’altro ritrovando però ovunque quel senso di appartenenza, di comunità. È una cosa unica, soprattutto a 400 km da Terra.
Luca Parmitano ci ha raccontato che sulla ISS gli spazi vanno ottimizzati al massimo, evitando il più possibile gli sprechi. In cosa pensi che la Stazione debba migliorare per minimizzarli?
Se immagino una nuova stazione spaziale nella mia fantasia, per assurdo tra 15 anni, magari un sistema per lavare i vestiti in qualche modo perché in questo momento li indossiamo molto più a lungo di quanto non li indosseremmo sulla Terra e poi li eliminiamo come spazzatura. E forse gli imballaggi, soprattutto del cibo, penso che in futuro si potrebbe ottimizzare un po’.
A proposito di cibo, si parla in futuro della possibilità di stamparlo in 3D, direttamente sulla Stazione. Il cibo, ma anche la stampa 3D, faranno parte dei tuoi esperimenti sulla ISS. Di che si tratta?
Questa sarà un’altra “ottima ottimizzazione”. In questo momento, noi dobbiamo stoccare sempre a bordo tutto l’equipaggiamento e le parti di ricambio più critiche che magari non useremo mai. L’altra situazione è quella in cui si rompe qualcosa, non era considerata così critica da averne stoccato a bordo e occorre aspettare che venga lanciata. La possibilità in futuro di poter stampare a bordo pezzi di ricambio sarà rivoluzionaria. Basterà stoccare una quantità di materiale polimerico che viene usato come materia prima e poi fare l’upload del disegno o del pezzo quando serve e lo si stampa a bordo. Porteremo con Futura un piccolo dimostratore tecnologico di stampante 3D finanziato dall’Asi ad hoc. Sarà interessante vedere come funziona la stampa 3D a Terra già consolidata, ma in microgravità e in assenza di peso.
Qualche tempo fa, la PETA ha inviato un appello a Elon Musk, amministratore delegato di SpaceX, sostenendo che nei futuri viaggi nello spazio, la dieta che i “marsonauti” dovranno seguire dovrà essere vegana. Cosa ne pensi?
Non conosco questo appello ma sicuramente la prima fonte di cibo fresco prodotto nello spazio, siamo tutti d’accordo, sarà vegetale. Ciò non significa che si debba per forza rinunciare alla carne. Si potrà portare inizialmente dalla Terra però è chiaro anche che tutte le sperimentazioni (molte quelle italiane) rivolte alla possibilità autoctona di produrre cibo nello spazio sono concentrate sulle piante. In questo senso sicuramente è vero.
Sono previsti degli esperimenti sulle rinnovabili?
La Stazione Spaziale funziona su energie rinnovabili, per definizione. La fonte di energia dalla Stazione sono i panelli solari ed in questo senso è una grande dimostratore tecnologico dell’utilizzo dell’energia pulita. Poi abbiamo il vantaggio di essere nello spazio, sopra la copertura nuvolosa quindi l’insolazione è sempre ottimale. Gli esperimenti sono più a livello di comprensione di relazioni fisiche fondamentali che poi hanno applicazione in una quantità innumerevole di campi quindi anche nelle tecnologie applicate alle rinnovabili.
Hai visto Gravity? Il film ha portato sul grande schermo il tema dei rifiuti spaziali. Anche se al vaglio al momento ci sono diverse soluzioni, ancora oggi attorno alla Terra circola una grande quantità di spazzatura. Anche allontanandosi dagli scenari catastrofisti del film, il problema c’è. Cosa si potrebbe fare, secondo te, per affrontarlo?
Nel presente, quello che viene fatto è che da una parte detriti oltre una certa dimensione, credo 5 centrimetri, vengono tracciati da Norad, un sistema di tracking degli Stati Uniti. Ogni volta che c’è una possibilità anche remota di collisione con la Stazione Spaziale, Norad allerta il centro di controllo di Houston che segue la cosa. Poi, 24 ore prima di questa possibilità di collisione, viene pianificata una manovra, la Stazione Spaziale accende i motori e si sposta, visto che il detrito spaziale difficilmente lo fa. Succede, succede anche regolarmente. Anche se non venisse spostata la Stazione la probabilità di un impatto è veramente piccola ma di Stazione spaziale ne abbiamo una. Semmai c’è un minimo dubbio la spostiamo.
È successo in passato di accorgersi all’ultimo momento senza il tempo di fare altre manovre, allora gli astronauti si sono spostati nella Soyuz con la tuta spaziale, pronti a rientrare se fosse successo qualcosa di grave. Sarà successo due o tre volte nella storia della ISS. Per i detriti piccoli, tutti i moduli hanno un rivestimento contro i micrometeoriti fatto da due strati. Quello esterno fa sì che nell’impatto, il meteorite venga distrutto in tanti piccoli pezzi e poi distribuito su una superficie più grande dello scafo interno. Lo sappiamo tutti, esiste una dimensione intermedia, troppo piccola per essere trackata e troppo grande per essere distrutta dallo scudo anti-meteorite. Se dovesse succedere un impatto con qualcosa di quelle dimensioni, potrebbe anche fare un buco sulla Stazione Spaziale. È una delle situazioni di emergenza per le quali ci addestriamo, il sistema automatico della Stazione è settato per dare l’allarme se rileva depressurizzazione, ossia una perdita di pressione atmosferica all’interno della Stazione. Se gli astronauti sono nelle vicinanze lo avvertono anche dalle orecchie e se ne accorgerebbero immediatamente anche i controllori a terra. Siamo addestrati a reagire immediatamente, a cercare la falla, ad isolare il modulo e se la falla è piccola possiamo anche provare a chiuderla.
Per quanto riguarda invece la mitigazione del problema dei detriti spaziali, è molto più ampio e non riguarda solo la Stazione. È un problema molto sentito. C’è una piccola start up italiana, che si chiama D-Orbit che sta cercando di mettere sul mercato un sistema propulsivo, un modulo da attaccare ai satelliti per dare loro l’impulso alla fine della loro vita per farli scendere e bruciare a contatto con l’atmosfera. Credo che in futuro si andrà sempre di più verso sistemi per cui chi produce e mette in orbita un satellite, deve anche avere un sistema per deorbitarli.
Da tempo si parla ormai di voli umani su Marte. Secondo te, riusciremo davvero a raggiungere il Pianeta Rosso? Con le attuali tecnologie l’uomo è in grado di farlo? Cosa suggeriresti a chi si candida per il viaggio di sola andata verso Marte?
Un viaggio suicida di sola andata probabilmente è già possibile ma un viaggio organizzato in maniera più seria, magari con la possibilità di fare attività di ricerca in loco e poi tornare, necessita ancora di lavoro dal punto di vista tecnologico. Dipende sempre da quanto si investe. Se si investisse una quantità infinita di denaro, si potrebbe andare su Marte molto presto ma realisticamente, con i finanziamenti che hanno i programmi spaziali oggi, è chiaro che ci vorrà del tempo. È tutta una questione di priorità.
Andrai a passeggio nello spazio? Anche per te è prevista una spacewalk?
Attualmente, per me non è prevista purtroppo. Ci vuole anche fortuna in queste cose, non tutti hanno la possibilità di farla però mai dire mai. C’è ancora tempo, possono cambiare i piani, è possibile che ci sia una contingenza che richieda una passeggiata spaziale e che tocchi a me per come si configurano le cose. È tutto abbastanza imprevedibile. Molte delle passeggiate spaziali fatte di recente non erano previste, sono venute fuori all’ultimo momento, quando gli astronauti erano già in orbita, quindi la speranza mi rimane.
La data di partenza prevista?
Ad oggi è fissata per il 23 novembre.
Da appassionata di Yoga, pensi che tale disciplina ti aiuterà sulla Stazione? Troverà spazio anche nello spazio?
Nell’ultimo anno non l’ho praticato molto per mancanza di tempo, ma credo che lo Yoga aiuti anche averlo praticato, sia per la salute fisica che per altri tipi di equilibrio. Certo, sulla Stazione è difficile perché essendo una disciplina basata sul corpo necessita del peso. Non so immaginare come potrebbe essere fare yoga in assenza di peso. Forse ci vorrebbe qualche guru dello yoga sulla Stazione a spiegarci come fare nello spazio.
Quali sono i tre oggetti che sicuramente porterai con te e di cui non puoi fare a meno? Quale piatto tipico farai assaggiare ai tuoi “coinquilini” sulla ISS?
Non sono particolarmente legata ad oggetti quindi posso fare tranquillamente a meno di tutti. Sulla Stazione Spaziale c’è già tutto quindi non mi viene in mente altro. Sicuramente ho già fatto un piccolo box di cose che potevamo portare. Ho aggiunto dei vestiti comodi come i pantaloni della tuta, qualche maglione e qualche calzino in più.
Sto lavorando molto sul bonus food europeo da più di un anno con un chef italiano molto giovane, Stefano Polato, con cui siamo entrati in sintonia sull’idea che il cibo sia la prima medicina, quindi se si vuole vivere sia nel breve termine che nel lungo termine e invecchiare in salute facendo una vita attiva per molto tempo, bisogna essere consapevoli dell’effetto che il cibo ha sul nostro organismo. Non è solo una fonte di energia ma accanto all’energia il cibo ci permette di assorbire tutta una serie di micronutrienti che sono fondamentali per il buon funzionamento del nostro organismo. Essendo poi lo spazio un ambiente abbastanza stressogeno dal punto di vista della salute, è ancora più importante dare al nostro organismo tutti questi nutrimenti di cui ha bisogno. Quindi abbiamo sviluppato alcuni piatti orientati in questa maniera, senza scendere nei dettagli ma ne parleremo in futuro. Si tratta di proteine sane, cereali integrali e carboidrati a basso indice glicemico, antiossidanti, fibre, frutta, verdura, olivo d’oliva, cioccolato fondente ad altissimo contenuto di cacao, semi. Tutte cose che possiamo classificare come cibo medicina, buone e che fanno stare bene.
Cosa pensi che ti mancherà di più una volta in orbita? Hai già pensato alla prima cosa che farai una volta rientrata sulla Terra?
Non so né l’una né l’altra, mi lascerò sorprendere. Non mi piace prevedere troppo in dettaglio se non quello che è necessario, altrimenti ci si lascia influenzare dalle aspettative, meglio essere neutri e aperti a quello che la realtà offre.
Ce lo racconterai al tuo ritorno?
Volentieri. A presto.