Anche Otzi, l’uomo dei ghiacci di 5300 anni fa, soffriva di ulcera. Trovato infatti nel suo stomaco l’Helicobacter pylori, il batterio che ne rappresenta una delle principali cause. La scoperta, dovuta al paleopatologo Albert Zink e ai suoi colleghi dell’Accademia europea di Bolzano, apre nuovi scenari di teorie sulle migrazioni degli uomini primitivi nelle terre emerse.
La mummia Otzi è stata scoperta nel 1991 sulle Alpi orientali e gli studi sull’essere umano vissuto nel Neolitico (Età del Rame) hanno già portato ad individuare altre curiosità sulle sue condizioni di salute, come la presenza di carie nei suoi denti, che ha indotto a sviluppare teorie sulle abitudini alimentari dell’epoca preistorica.
E anche l’individuazione del batterio H. pylori, avvenuta tramite riconoscimento e sequenziamento del suo Dna trovato nello stomaco della mummia, non rappresenta solo una curiosità scientifica. Infatti la popolazione europea esistente di H. pylori è nota per essere un ibrido tra batteri di origine asiatica e africana. Non così quello trovato nello stomaco do Otzi.
Scrivono a questo proposito gli autori del lavoro:
“Il batterio dell’Uomo dei ghiacci è un rappresentante quasi puro della popolazione batterica di origine asiatica che esisteva in Europa prima dell’ibridazione, il che suggerisce che la popolazione africana è arrivata in Europa in questi ultimi mille anni”
I ricercatori, che hanno eseguito una biopsia sullo stomaco dell’uomo preistorico prelevando un campione di tessuto, si sono assicurati in questo modo anche che il batterio non fosse una contaminazione successiva, dimostrando che il microrganismo è antico tanto quando la mummia, ovvero di circa 5300 anni fa.
Credits: Science
Non è stato necessario praticare a questo scopo nuove incisioni sull’addome, perché si è potuto passare da una vecchia apertura, in modo da evitare danni al prezioso reperto. Il varco, lungo 4 centimetri, ha consentito il prelievo del campione di stomaco, che durante la mummificazione è scivolato al posto dell’intestino, rendendo finora difficoltosi gli studi.
La ricerca è stata pubblicata su Science.
Roberta De Carolis
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