Autocombustioni a Canneto: la verità nelle rocce sottomarine? Intervista al fisico Marzio Mangialajo

Canneto intervista

Le autocombustioni di Canneto sono ancora ufficialmente un mistero, ma c’è chi, non credendo alle teorie esoteriche e complottiste, cerca di darne una spiegazione scientifica.

A seguito degli ultimi eventi registrati in zona e del riproporsi di alcune di queste ipotesi, il fisico Marzio Mangialajo ci ha contattati e ha accettato di proporre anche a noi la sua possibile ricostruzione dei fatti.

NM. Dott Mangialajo, sappiamo che Lei ha sviluppato una Sua teoria scientifica sulle autocombustioni di Canneto. È così?

MM. Sì, è così. Il 31 ottobre sono stato invitato dalla Protezione Civile e ho esposto anche a loro quello che sto per dirvi. Nel 2004, quando sono iniziati gli incendi di Canneto, in un primo momento ho pensato all’effetto piezoelettrico a dire la verità, ma non funzionava viste le grandi distanze in gioco. Siccome però negli ultimi anni mi ero occupato di problemi energetici, mi sono chiesto quale era la sorgente vera di questo fenomeno. Visto che non c’è petrolio, l’unica fonte seria di energia della zona è la spinta della zolla africana verso Nord, e mi sono messo a studiare questo problema.

Ho cercato in rete e ho trovato i lavori di uno scienziato americano, F.T. Freund, il quale sostiene che si formino dei p-holes quando si comprimono delle rocce. E l’ha dimostrato: ha preso una roccia, l’ha compressa e ha visto che gli elettroni uscivano lungo l’asse di compressione, e che ai bordi di questa roccia vi era un eccesso di cariche positive.

NM. Mi scusi, come ha effettuato tali misurazioni?

MM. Con dei comuni galvanometri.

NM. Immagino a questo punto che Lei abbia esteso l’ipotesi a situazioni che coinvolgono superfici ben maggiori…

MM. Esatto. Se invece di una lastra rocciosa siamo di fronte ad una roccia subacquea, il problema c’è. A questo punto mi sono messo in contatto con lui (Freund, N.d.R.), che mi ha spiegato come, in realtà, esista un legame perossido tra le rocce, che, quando queste vengono compresse, si rompe, rilasciando elettroni e lasciando queste cariche positive sulle molecole che sono state compresse, i p-holes (letteralmente “buchi positivi”, N.d.R.). Queste molecole, impoverite di elettroni, li rubano alle molecole circostanti, che a loro volta fanno lo stesso con quelle ancora più esterne. Si verifica quindi una trasmigrazione di elettroni verso l’interno e una di p-holes verso l’esterno. Questi poi si accumulano agli estremi della roccia, dove Freund aveva fatto le sue misure.

NM. E come si applica tutto questo per spiegare cosa è successo a Canneto?

MM. Tutto questo, a Canneto, avviene nelle profondità marine. Le rocce vengono compresse (dalla spinta della zolla africana verso Nord, N.d.R.), e le cariche positive vanno in tutte le direzioni. Quelle che vanno verso l’alto raggiungono il fondo del mare, ma non interagiscono con l’acqua. Proseguono sulla roccia che esce all’esterno e poi tendono a disperdersi sul territorio circostante.

Ma a Canneto c’è un problema: la ferrovia, che le ferma. E quindi le cariche si accumulano nelle case che stanno tra questa e il mare. Dunque le mura di quelle abitazioni si caricano di p-holes. Se si avvicina, o è già presente, un oggetto metallico, qui avviene una separazione di cariche, perché gli elettroni tendono ad avvicinarsi ai p-holes. A questo punto avviene la scarica: la scintilla provoca il surriscaldamento del metallo e se tale surriscaldamento è sufficiente dà fuoco a quello che c’è intorno. Questa è la causa degli incendi di Canneto.

NM. Ma perché questo fenomeno succede solo a Canneto?

MM. Perché c’è la ferrovia.

NM. Ok, ma possibile che non ci sia da nessuna parte nel mondo una situazione analoga?

MM. Ha ragione Lei; in effetti c’è altro. Alla riunione con la Protezione Civile ho scoperto innanzitutto che non sono tutte le case di Canneto ad prendere fuoco, ma solo tre di una serie di sei a schiera, che sono tra il mare e la ferrovia. Nel corso della stessa occasione è emerso poi che queste tre case erano state costruite a partire dal 1961 con blocchi di cemento e sabbia marina ricca di sale.

Sono andato dunque a cercare tra i lavori di Freund e ho scoperto che la sabbia è il non plus ultra per i p-holes. Quindi è probabile che gli incendi siano scoppiati lì perché il materiale di costruzione delle case conteneva sabbia marina. Ma in effetti queste sono solo ipotesi.

NM. Quindi non abbiamo prove…

MM. No le abbiamo, seppur indirette. Dopo i primi incendi del 2004, nelle case di Canneto (non so se solo in quelle tre o anche nelle altre) sono stati installati dei rilevatori di fumo, che però suonavano anche quando il fumo non c’era. E tutti pensavano fossero tarati male. Questi dispositivi, come li pensavo io, erano due piastrine con una certa differenza di potenziale, con aria nel mezzo. Se nell’aria c’è del fumo è ionizzata, perché il fumo contiene ioni.

NM. Ma potrebbero esserci altre cause a far partire la scintilla…

MM. Esatto. Se uno dei due elettrodi per un motivo qualsiasi aumenta la sua tensione rispetto all’altro, la scintilla parte lo stesso. A riprova di questo, nel periodo intercorso tra il 2004 e questi ultimi episodi, non c’erano stati più incendi all’interno delle case, perché i rilevatori di fumo, facendo scintille, scaricavano i p-holes. Ma all’esterno, dove i dispositivi non c’erano, ogni tanto i contatori prendevano fuoco.

NM. Ma tutti i rilevatori di fumo sono strutturati così?

MM. A onor del vero no. Me l’hanno fatto notare anche alla riunione del 31 ottobre. Ma, anche se il rilevatore di fumo è costruito diversamente, sarà sempre un corpo metallico appoggiato ad una parete e che prima o poi scarica, se le mura si caricano parecchio di p-holes. Quindi di questa osservazione non mi importa. Torna tutto.

NM. Ma sono state avanzate altre ipotesi?

MM. Sì: alla riunione del 31 è stato ipotizzato che i p-holes possano arrivare a Canneto su un’ipotetica faglia del territorio, proprio sotto le case incriminate. Ma questa faglia non è mai stata vista. Nessuno ha la dimostrazione che esista.

NM. Però sarebbe una conferma della sua teoria, no?

MM. Beh sì, si tratterebbe comunque di p-holes. Però non ci sono prove nemmeno che la faglia sia reale. Ora le spiego un’altra cosa: questi p-holes sono provocati dalla compressione, e si formano prima che la roccia si rompa provocando un terremoto, quindi potrebbero esserne dei precursori. Non necessariamente in realtà, perché è possibile che la roccia venga compressa, produca p-holes, ma poi non si rompa mai.

Tuttavia il 9 ottobre ci sono stati degli incendi a Canneto e la notte tra il 9 e il 10, a 30 chilometri dal paese, c’è stato un terremoto di magnitudo 4.3. Non ci sono poi stati altri incendi in zona perché, come avevo previsto anche al sindaco in una lettera, il sisma ha scaricato la tensione. Tutto continua a tornare. Agli incendi provocati a mano non credo. La persona che è indagata e ha preso l’avviso di garanzia ora ha 25 anni, ma nel 2004 ne aveva 15…

NM. Un’ultima curiosità: ma il meccanismo dei p-holes è una teoria affermata?

MM. Ecco: in realtà io sto facendo di tutto perché questa teoria venga chiamata e riconosciuta come ‘Effetto Freund’, perché penso che lo scienziato, che ora ha 80 anni, lo meriti.

Siamo dunque arrivati alla verità?

Roberta De Carolis

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