È cosa nota che conoscere più di una lingua sia importante. Il mondo ha abbattuto frontiere fisiche grazie ad un aereo che in poco tempo può accorciare distanze prima proibitive. In tal modo si è creata una mescolanza di popoli e culture, suoni e colori come mai prima. Le lingue di un futuro ormai presente erano l’inglese, lo spagnolo, il tedesco ed il francese. Oggi si parla di cinese e di arabo.
E se molti sostengono che alcuni individui, se non addirittura popoli, siano maggiormente predisposti ad imparare una lingua, oggi sembrerebbe che l’apprendimento di una o più lingue avvenga già prima della nascita. La notizia è il risultato di uno studio condotto dalla British Columbia University ed afferma scientificamente quel che sinora si era ipotizzato.
Durante la gestazione, i bambini riuscirebbero a distinguere fra i diversi linguaggi. E non si parla solo di dialetti o di lingua parlata in senso stretto, ma di veri e propri idiomi. Per loro, dunque, sarebbe semplicissimo distinguere da subito ritmi, suoni e cadenze diverse fra loro. Pertanto inizia dal ventre materno l’acquisizione del linguaggio e, non ultimo, la netta preferenza dell’idioma “ascoltato” dalla propria mamma. Tali potenzialità si svilupperebbero già nei primi sei mesi di vita.
Janet Werker, docente di psicologia infantile e promotrice dello studio, ha scoperto addirittura come i figli di madri bilingue preferiscano anche in seguito parlare le lingue più frequentemente utilizzate dalla madre rispetto alle altre. Ciò si traduce in una maggior capacità dei figli bilingue nell’apprendimento grazie alla capacità di riconoscere le differenze fra i due linguaggi. Quel che nella pratica accade nel cervello, rispetto ai figli monolingue, sarebbe una più precoce flessibilità a livello cognitivo.
Come ormai accertato per quelle mamme che sin dalla propria gravidanza ascoltano musica o dipingono o leggono al fine di instillare un’arte nel proprio figlio, oggi una mansione in più: insegnare le lingue.
Lo studio è stato pubblicato ed è reperibile sulla rivista New York Times.
Federica Vitale