Un tempo, l’osservazione del cielo notturno offriva un rifugio dal caos terrestre generato dall’attività umana. Oggi, questa fuga sembra non essere più possibile. A distanza di quasi sette decenni dal lancio dello Sputnik, il primo satellite artificiale, lo spazio è diventato una regione affollata da innumerevoli dispositivi. Questa densità di oggetti artificiali in orbita sta suscitando preoccupazioni significative tra gli astronomi, i quali temono che l’inquinamento luminoso possa rendere difficile l’osservazione delle galassie lontane attraverso i telescopi posizionati sulla Terra.
Una delle questioni più pressanti è rappresentata dalla cosiddetta spazzatura spaziale, che conta quasi 30.000 oggetti di dimensioni superiori a quelle di una palla da softball, orbitanti a velocità estremamente elevate. Questi detriti rappresentano una minaccia non solo per la sicurezza dei satelliti attivi, ma anche per la possibilità stessa di effettuare lanci futuri.
Il Chemical Sciences Laboratory della NOAA, guidato dal fisico ricercatore Troy Thornberry, ha evidenziato come l’esplorazione spaziale commerciale stia modificando l’atmosfera in modi misurabili, con potenziali ripercussioni dannose per lo strato di ozono e il clima terrestre. Thornberry sottolinea l’incremento di particelle metalliche nell’atmosfera superiore, derivanti da satelliti e razzi che rientrano nell’atmosfera e bruciano. Questo fenomeno potrebbe portare, nei prossimi decenni, a una situazione in cui i detriti artificiali costituiranno metà degli aerosol stratosferici, eguagliando la quantità generata naturalmente.
Un cambiamento nelle tecnologie dei lanci e le sue conseguenze
Il passaggio dall’utilizzo dei propellenti solidi dei Space Shuttle della NASA al cherosene per i razzi della SpaceX ha introdotto significative quantità di emissioni di combustibili fossili ad ogni lancio. Inoltre, i satelliti che raggiungono il termine della loro vita operativa contribuiscono alla formazione di nuvole di detriti. La situazione attuale vede più di 8.300 satelliti in orbita, con previsioni che indicano un possibile incremento fino a 478.000 entro il 2030, secondo alcuni annunci da parte di enti commerciali e governativi, sebbene stime più caute parlino di 20.000 a 58.000 nuovi satelliti.
La proliferazione di questi oggetti in orbita riecheggia la preoccupazione espressa dalla “sindrome di Kessler”, che prevede un aumento esponenziale dei detriti spaziali capace di rendere a rischio le future missioni spaziali. Attualmente, si stima l’esistenza di circa 100 milioni di frammenti di dimensioni paragonabili a quella di una punta di matita, ognuno dei quali rappresenta un potenziale pericolo per le infrastrutture in orbita.
In questo contesto preoccupante, aziende come Astroscale stanno emergendo come leader nel campo della rimozione dei detriti orbitali. La compagnia ha già dimostrato la fattibilità di tecnologie di aggancio e rimozione mediante l’uso di magneti forti per catturare bersagli in movimento. L’azienda punta a un approccio di economia circolare nello Spazio, benché ammetta che la strada da percorrere è ancora lunga.
Il lancio del primo satellite biodegradabile al mondo, previsto per quest’estate da parte di scienziati giapponesi e della NASA, segna un passo significativo verso la riduzione dell’impatto ambientale delle missioni spaziali. Questo satellite, realizzato principalmente in legno, rappresenta un esperimento pionieristico nell’ambito della sostenibilità spaziale. La crescente consapevolezza dell’importanza della sostenibilità nello spazio evidenzia la necessità di un approccio più responsabile nell’esplorazione spaziale, per preservare non solo l’ambiente terrestre ma anche quello extraterrestre per le future generazioni.