Prevedere i terremoti è l’oggetto ormai di molte discussioni e, a volte, di polemiche, sia a livello mediatico che istituzionale. Durante il recente convegno di Roma, organizzato dai deputati Gianluca Benamati e Giovanni Lolli, si sono registrati per esempio non pochi episodi di acceso dibattito, dovuti ad alcune affermazioni dei presenti in sala, e diversi aspetti emersi dall’incontro non sono risultati chiari agli esperti.
In particolare Giuliano Panza, ordinario di sismologia presso l’Università di Trieste che noi di Nextme avevamo recentemente intervistato, ci ha contattati per segnalarci i metodi più corretti a suo avviso per la previsione dei terremoti, su scala globale e italiana. Gli abbiamo rivolto a questo punto alcune precise domande.
NM. Egregio prof. Panza, come sa, alcuni deputati hanno firmato una proposta di legge per approvare un Piano antisismico nazionale. Cosa manca dunque, attualmente, nel nostro Paese?
GP. Manca quanto ben descritto nella proposta di legge, ovvero manca una legge che recepisca, a livello nazionale, i recenti progressi scientifici in campo sismologico, affiancando alle tradizionali metodologie i nuovi strumenti per la stima della pericolosità sismica, che sono oggi disponibili grazie a nuovi modelli fisici e strumenti di calcolo avanzato. É necessario affiancare alle stime probabilistiche esistenti (Psha), che si sono rivelate inadeguate in molti casi al livello globale e non solo nazionale, stime deterministiche (Ndsha) di pericolosità sismica. A tal proposito faccio presente che stime di pericolosità fatte col metodo neo deterministico (Ndsha) esistevano già dal 2000, e sono state drammaticamente confermate dagli eventi in Emilia-Romagna (Primavera 2012). Le stime Ndsha sono il prodotto dal team internazionale del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste, e del Sand group dell’Ictp da me diretto.
NM. Durante il convegno del 15 Novembre, convocato proprio per discutere questa proposta di legge, ci sono stati diversi interventi, sia di politici che di scienziati, e parecchie le affermazioni che hanno generato perplessità. Il Presidente della Commissione Grandi Rischi Luciano Maiani, in particolare, ha dichiarato: “Il processo di aggiornamento della pericolosità e delle norme sismiche delle costruzioni, che era stato avviato nel 2003, ha trovato la sua completa applicazione solo nel 2009, dopo il tragico terremoto de L’Aquila. Solo da pochi anni quindi il Paese è classificato come sismico secondo le norme moderne”. Alla luce del terremoto in Emilia, cosa pensa Lei di questa dichiarazione?
GP. Penso che l’affermazione sia formalmente corretta; purtroppo conferma l’inadeguatezza della normativa, comprese le norme moderne, che, come detto, si basano su Psha e non hanno tenuto conto nel 2009 di quanto fornito, fin dal 2001, da Ndsha. Quindi la sua domanda contiene già la risposta: il terremoto in Emilia deve far riflettere seriamente sulle “norme moderne” seguite per definire la pericolosità del nostro Paese. L’inefficacia della classificazione dimostrata in questa occasione è tanto più grave proprio perché recente.
NM. Prima del 2003 invece, come era valutata la sismicità del nostro Paese? Cosa è cambiato con la normativa portata a termine poi solo nel 2009?
GP. Tralasciando le specifiche di interesse per il mondo dell’ingegneria, sulle quali altri sono certamente molto più competenti di me, la cosa più evidente mi pare sia l’estensione delle zone interessate da una certa pericolosità. Prima del 2003 la pericolosità sismica era basata sostanzialmente sulle osservazioni dei danni causati dai terremoti avvenuti nel passato.
NM. Secondo l’articolo dell’ing. Giancarlo Giuliani (che riportiamo qui sopra) la mappatura sismica del nostro Paese cambia radicalmente in base alla metodologia di previsione utilizzata per costruirla. Può commentarci brevemente queste immagini?
GP. Non posso che concordare con quanto scritto dall’ing. Giuliani, che è un progettista all’avanguardia ed assai affermato in ambito nazionale ed internazionale. Non è possibile mantenere ad oltranza una normativa errata per poi verificare, a posteriori, che l’evento sismico reale ha avuto magnitudo e quindi effetti dannosi superiori al previsto. Anche se ogni progettista può senz’altro adottare le previsioni Ndsha, è comunque costretto a giustificare con il Cliente l’eventuale maggiore prezzo di costruzione, e a redigere inutili verifiche in accordo con Psha, per ottemperare alla normativa. Tali concetti sono ulteriormente approfonditi nel Position statement dell’Isso. In breve, le mappe di pericolosità sismica Psha e Ndsha sono sostanzialmente diverse. Nelle mappe Ndsha si considera il massimo terremoto credibile in ciascun sito. In quelle Psha, invece, si considera lo scuotimento che ha una certa probabilità di verificarsi in un certo intervallo di tempo, e ciò generalmente porta a non tenere nel debito conto (fino a quasi trascurare) i terremoti più forti e meno frequenti, come nel caso dell’Emilia.
Inoltre, per valutare come varia lo scuotimento del suolo quando ci si allontana dall’epicentro, il metodo Ndsha si basa sulla modellazione della propagazione delle onde sismiche, utilizzando le leggi fondamentali della fisica, piuttosto che relazioni empiriche spesso molto incerte ed inadeguate a descrivere situazioni complesse. Tutto ciò può portare a delle differenze radicali nelle mappe, soprattutto dove ci sono pochi dati (non dimentichiamo che per raccogliere alcuni dati, bisogna attendere che avvengano i forti terremoti…)
NM. Cosa pensa Lei della metodologia di Massimo Morigi che analizza immagini radar colte dai satelliti per valutare il rischio sismico, di cui noi di NextMe abbiamo recentemente parlato?
GP. Ribadisco che i terremoti non si possono prevedere con precisione. Le metodologie DInSAR appartengono a quelle metodologie che evidenziano ‘anomalie localizzate’, ma solo dopo il verificarsi di un terremoto di una certa entità, e quindi non hanno, ancora, alcun valore prognostico, pur fornendo dati di potenziale estremo interesse per la ricerca sulla fisica del terremoto.
Ricordo che invece è provato, con un livello di confidenza superiore al 98 per cento, che i terremoti possono essere previsti nel medio termine spazio-temporale, ossia entro aree con dimensioni di centinaia di chilometri e con un’incertezza temporale di mesi o anni. Questo tipo di previsione permette la messa in atto di una serie gerarchica di azioni di prevenzione definite anche in ambito Unesco già nel 1977. Queste conclusioni sono supportate da una più che decennale e rigorosa sperimentazione condotta, in collaborazione con l’Iiept di Mosca, sia su scala globale che per il territorio italiano. Penso sia un dovere fondamentale della Protezione Civile cercare di implementare le misure preventive possibili, unitamente ad altre specifiche per l’Italia, con la massima efficacia possibile.