Ora sappiamo come ha fatto la Luna a capovolgersi

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Luna
©University of Arizona

Circa 4,5 miliardi di anni fa, un piccolo pianeta si scontrò con la giovane Terra, lanciando roccia fusa nello spazio. Lentamente, questi detriti si aggregarono, raffreddarono e solidificarono, dando forma alla nostra Luna. Questo scenario, ampiamente accettato dalla comunità scientifica, descrive le origini del satellite terrestre, ma i dettagli di questo processo rimangono avvolti nel mistero, simili a un romanzo d’avventura a scelta multipla, come suggeriscono gli studiosi del Laboratorio Lunare e Planetario dell’Università dell’Arizona in uno studio pubblicato su Nature Geoscience. La ricerca offre intuizioni significative sull’evoluzione interna della Luna e, potenzialmente, di pianeti come la Terra o Marte.

Gran parte delle conoscenze attuali sull’origine della Luna derivano dall’analisi di campioni di roccia raccolti dagli astronauti delle missioni Apollo, oltre cinquant’anni fa, integrati da modelli teorici. Questi campioni di rocce laviche basaltiche hanno rivelato sorprendentemente alte concentrazioni di titanio. Osservazioni satellitari successive hanno individuato che queste rocce vulcaniche ricche di titanio si trovano principalmente sul lato visibile della Luna, ma le ragioni di questa distribuzione sono state a lungo un enigma.

Poiché la Luna si formò in modo rapido e caldo, era probabilmente ricoperta da un oceano globale di magma. Man mano che la roccia fusa si raffreddava e solidificava, formava il mantello lunare e la luminosa crosta che osserviamo durante le notti di luna piena. Tuttavia, più in profondità, il giovane satellite era in uno stato di forte disequilibrio. I modelli indicano che gli ultimi residui dell’oceano di magma cristallizzarono in minerali densi, inclusa l’ilmenite, un minerale che contiene titanio e ferro.

Il mistero delle rocce ricche di titanio

Weigang Liang, autore principale della ricerca durante il suo dottorato al LPL, spiega che questi minerali pesanti, essendo più densi del mantello sottostante, causano un’instabilità gravitazionale che li porta a sprofondare verso l’interno lunare.” Nel corso dei millenni, questo materiale denso è affondato nell’interno, si è mescolato con il mantello, è fuso e poi risalito in superficie sotto forma di flussi di lava ricchi di titanio che oggi vediamo.

Jeff Andrews-Hanna, coautore dello studio e professore associato al LPL, afferma: “La nostra Luna si è letteralmente rivoltata.” Tuttavia, esiste poco materiale fisico che illumini la sequenza esatta degli eventi in questa fase critica della storia lunare, e i dettagli rimangono oggetto di forte dibattito. Adrien Broquet del Centro Aerospaziale Tedesco di Berlino, coautore dello studio, sottolinea che senza prove concrete, è possibile scegliere il modello preferito, ognuno dei quali ha implicazioni profonde per l’evoluzione geologica della Luna.

Un precedente studio condotto da Nan Zhang dell’Università di Pechino, coautore del paper più recente, ha previsto che lo strato denso di materiale ricco di titanio sotto la crosta si è prima spostato verso il lato vicino della Luna, forse a causa di un grande impatto sul lato opposto, e poi è affondato nell’interno in una rete di lastre simili a cascate. Questo materiale, una volta affondato, ha lasciato dietro di sé un piccolo residuo in un pattern geometrico di corpi lineari densi di materiale ricco di titanio sotto la crosta.

La nuova ricerca confronta le simulazioni di uno strato affondante di ilmenite con anomalie gravitazionali lineari rilevate dalla missione GRAIL della NASA, i cui due veicoli spaziali hanno orbitato intorno alla Luna tra il 2011 e il 2012, misurando piccole variazioni nel campo gravitazionale lunare. Queste anomalie circondano una vasta regione scura del lato vicino della Luna coperta da flussi vulcanici noti come mare.

Le scoperte supportano l’idea che le firme gravitazionali misurate dalla missione GRAIL siano coerenti con le simulazioni dello strato di ilmenite, mappando la distribuzione dei residui di ilmenite lasciati dopo l’affondamento della maggior parte dello strato denso. Questo studio non solo conferma le previsioni dei modelli computerizzati ma apre anche nuove strade per future missioni lunari, come quella prevista con la rete sismica, per indagare meglio la geometria di queste strutture.