L’orto lunare? Con l’idroponica si può fare

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La coltura idroponica, altrimenti detta idrocoltura, rappresenta in molti casi una soluzione efficace per produrre ortaggi senza terreno, al punto che si potrebbe ipotizzare di utilizzarla anche sulla Luna o su Marte: ebbene qualcuno ci ha già pensato, e con ottimi presupposti.

I ricercatori del Ceac (Controlled Environment Agriculture Center) presso l’Università dell’Arizona, stanno infatti sperimentando prototipi di serre idroponiche adatte anche in ambienti estremi come la superficie lunare, e sembrano essere vicinissimi a dimostrare che l’orto sulla Luna per la gioia degli astronauti è non solo possibile, ma anche probabile.

Il sistema è stato messo a punto presso l’Extreme Climate Lab del Ceac e rappresenta solo una piccola parte (circa 5,5 metri) dell’intera struttura tubolare che idealmente sarebbe realizzata per la base lunare: si tratta essenzialmente di disporre queste grandi tubature sotto la superficie e attendere che la serra faccia il suo corso, perfettamente protetta da raggi solari, raggi cosmici o micrometeoriti.

La membrana che ricopre ciascuno dei moduli è destinata a fare il resto: ripiegabile fino a raggiungere le dimensioni di un disco, essa contiene sacchetti di nuovi semi che via via germoglierebbero idroponicamente e lampade al vapore di sodio raffreddate ad acqua; tutto ciò che occorre per una coltura idroponica, insomma.

Acqua e anidride carbonica potrebbero poi essere forniti dal riutilizzo delle urine e del respiro degli astronauti.L’ambizioso progetto coinvolge anche due aziende italiane, la Thales Alenia Space (società che costruisce hardware per la Stazione Spaziale Internazionale, Iss) e Aero Sekur (una società che costruisce strutture gonfiabili).

Siamo in grado di spiegare il modulo e avere acqua corrente per le lampade in soli 10 minuti”, ha dichiarato Phil Sadler della Sadler Machine Co., disegnatore e realizzatore della serra spaziale. “In 30 giorni circa gli ortaggi sono maturi”.

Malgrado il profondo ottimismo dei ricercatori qualcosa effettivamente manca all’appello: l’autonomia del sistema-robot, la garanzia che possa operare su se stesso una volta impiantato. Il Professor Roberto Furfaro (Sistemi e Ingegneria Industriale) e il professor Murat Kacira (Ingegneria Agraria e Biosistemi) stanno appunto studiando una soluzione al problema, e pur puntando all’autosufficienza della serra non negano l’importanza di una gestione “umana” dalla Terra, in caso di necessario intervento.

In attesa che la scienza ci spinga a colonizzare la Luna o Marte, comunque, con l’idrocoltura è possibile intervenire anche sulle città -notoriamente ostili alla coltivazione di verdure- con enormi vantaggi in quanto a qualità e trasporto veloce dei cibi, relativo abbattimento dei costi e diminuzione dell’impatto ambientale derivante dall’intera trafila.Benchè meno ambiziosa come idea, risulterebbe forse più utile a tutti.